Facciamo un bambino

Avete presente i fotomontaggi di Anne Geddes? Quei deliziosi bambini spesso presentati in associazione ai più disparati oggetti di uso quotidiano? Vi confesso che li ho sempre detestati. So di pregiudicarmi a questo punto la simpatia del pubblico femminile, ma invito le mie amiche ad andare almeno fino in fondo a questo articolo.

A parte il fatto che mi sembra detestabile la trasparente speculazione sull’istinto materno associata a queste immagini, mi sembra anche terribile la banalizzazione che si accompagna a questa speculazione, dove il figlio è associato a un giocattolo, un gaio trastullo per la madre, non cioè il termine delle nostre preoccupazioni, della nostra sollecitudine, in ultima analisi la persona verso la quale siamo debitori e di cui ci assumiamo la responsabilità, ma piuttosto qualcuno (o addirittura qualcosa) che “facciamo”, un prodotto, un’opera delle nostre mani.

L’altro giorno ero in banca a firmare per un mutuo e ho visto appeso a una parete il poster qui sopra. Siccome non sono una donna, né tantomeno una madre, l’associazione di idee che mi ha suscitato non è stata di tenerezza (vabbè, un pochino sì, lo ammetto), mi ha invece fatto pensare ad un recente drammatico fatto di cronaca accaduto da queste parti: un padre, dopo una lite con la compagna a proposito di chi dovesse tenere il figlio ha deciso che se non poteva averlo lui non doveva averlo nessuno, e lo ha buttato nel Tevere gelato.

So di avere una mente perversa, eppure non riesco a non pensare che ci sia una relazione tra le due cose. Intendiamoci, non voglio dire che quelli che sdilinquiscono ai poster della Geddes siano tutti potenziali killer infanticidi, dico solo che a ben guardare le due cose, il poster e il killer, sono figlie della medesima cultura. Quella cioè del figlio/oggetto, del figlio inteso come prodotto che deve soddisfare il mio bisogno di maternità/paternità. Come uno shitzu, ma un po’ di più.

O come si spiega l’assurdo paradosso di questo mondo in cui da una parte ci si sposa solo dopo che la natura ha suonato la campana dell’ultimo giro e dall’altra si pretende di avere un figlio ad ogni costo, sottoponendosi anche a terapie terribilmente invasive? E’ che chiunque capisce che un figlio esige qualche sacrificio, se non altro economico, visto che costa quanto acquistare una macchina nuova ogni anno, e allora bisogna prima realizzarsi, prendersi le proprie soddisfazioni, vivere la propria adolescenza di ritorno e solo dopo che ho pensato a me a me a me resterà spazio per qualcuno da amare. Ma intanto l’orologio corre, e arrivi a trent’anni, magari a quaranta e senti avvicinarsi il momento in cui big ben dirà stop e allora vai di bombe ormonali per aumentare la fecondità e se va bene poi settimane e mesi a letto per non rischiare…

Qualcuno da amare? Magari, in realtà spesso ‘sti figli mi sembran più tamagochi che persone, creati non per essere amati, ma per soddisfare quello che in realtà è l’estremo egoismo: il bisogno di amare. In quest’ottica il bambino sparisce come persona, esiste solo in relazione a me, come estensione, propaggine di me, alla fine dei conti è solo un oggetto, ecco perché si può pensare di buttarlo nel Tevere gelato per far dispetto alla ex compagna, ecco perché si può rappresentarlo come se fosse un (cavol)fiore o un ape o un altro qualsiasi utensile quotidiano.

11 commenti

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11 risposte a “Facciamo un bambino

  1. lidia

    A me Anne Geddes ha sempre spaventato: mi sembrano poster da pedofili, a volte. E i bambini sono rappresentati a mo’di soprammobile. Non so se è perché manco di istinto materno, ma i poster della Geddes mi fanno raccapriccio: mi sembra di vedere esseri umani usati, come cani alle esposizioni. E non mi inteneriscono affatto, anzi..

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  2. 61Angeloextralarge

    Marziano? Nooo! Altrii la pensano come te, io compresa.Alcune fotografie sono belle, ad esempio quelle con un bambino nelle mani, teneramente coccolato… o appoggiato alle spalle. Ma le altre mi fanno rabbrividire, anche perché ho sempre saputo che non sono fotomontaggi (non so se è vero ma l’idea di una madre che per denaro o peggio per immortalare il proprio figlio lo faccia usare così, mi fa venire la nausea. Eppure sta roba vende tantissimo: fotografie, quaderni, rubriche, gadget, puzzle, etc. C’è di tutto e di più.

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  3. Ommamma, davvero NON sono fotomontaggi? Ma questi so’ da internare allora, altro che il balordo del Tevere

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  4. 61Angeloextralarge

    Io la so così: fotografie artistiche. Spero di sbagliare!

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    • 61Angeloextralarge

      Però ho una passioncella per le foto di Kim Anderson, quella che fotografa bambini un po’ più grandicelli, in posa romatica. Mi fanno tenerezza e comunque sono bei bambini, espressivi, spontanei… Sono da internare secondo te?

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    • 61Angeloextralarge

      Da Wikipedia: “Le sue opere più famose sono essenzialmente ricche di colori pastello e luci soffuse. Tuttavia Anne Geddes ha sempre scattato anche in bianco e nero, una tecnica che ama particolarmente perché comunica semplicità, forza ed emozionalità del soggetto scelto.”

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  5. Elwing

    non sono madre.. proprio perchè so che sono egoista..mi manca ancora essere l’unica “bimba2 da amare. Il mio compagno , per fortuna la pensa allo stesso modo, non si sente pronto a mettere da parte se stesso e sacrificarsi per un figlio (siamo tutti e due sui 40 anni). Però meglio noi così , che ci sorbiamo critiche continue , ma non danneggiamo nessuno, che fare come altre coppie che pur di compiacere mamme, suocere ecc. o cedere come altri , appunto a LASCIARE una propaggine di se, fanno figli per poi mollarli a dopo scuole , tv, dvd a raffica, grest e quant’altro, (pur non lavorando ) per toglierseli dai piedi.. vedi sabato sera dalla nonna per uscire con le altre coppie. Da noi si dice: “cu havi figghi si ‘nnaga” traduco.. chi ha voluto figli se li accudisce.. da estrema cinica ma non mancante di buon senso sono pienamente d’accordo

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    • E quando la vita ti porrà la domanda: “a che è servito tutto questo?” cosa risponderai Elwing? Io per me penso che un uomo che non serve nessuno è un uomo che non serve a niente.
      Per carità forse è meglio essere cinici ed egoisti che far soffrire, ma non sarebbe meglio ancora amare e rendere felici se stessi e pure qualcun’altro?

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  6. fefral

    anche io ho sempre detestato quelle foto, essendo donna e madre dovrei preoccuparmi?

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  7. Marina M.

    Io sono una donna e una madre, ma neppure a me le fotografie di Anne Geddes hanno mai suscitato particolare tenerezza: i neonati ritratti mi parevano, anzi, inquietanti, dotati di una plasticosa fissità da bambolotto.
    Non credo, però, che siano molti coloro che procreano solo per rispondere a un afflato altruistico. Io no, perlomeno.
    Non desideravo figli, non li contemplavo proprio nel mio orizzonte di vita, sino a quando una notte non avvertii dentro di me un impeto urgente, doloroso e forte di dare la vita. Eh già, era proprio il famoso ticchettio dell’orologio biologico che si faceva sentire imperioso.
    La docile obbedienza a questo impeto, però, fu nell’immediato una risposta che oggi riconosco egoistica: il figlio placava un desiderio irrazionale, non meditato.
    Sono poi i bambini stessi a ricordarti sin dalle primissime nausee della gravidanza che sono altro da te, a rammentare coi loro capricci che sono personcine dotate di una loro autonomia e di una loro volontà. Basta ascoltarli e lasciarsi educare da loro.

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