Mentre mi preparo spiritualmente a celebrare il mio 25° vi offro una nota che scrissi per FB un paio di anni fa
Ci sono momenti in cui la scelta della castità è più pesante. Nel suo significato più vero il senso di questa rinuncia è il desiderio di portare a sovrapporsi identità e funzione, così che l’essere prete diventi il focus di tutto il mio essere. Questo implica la sottomissione di ogni desiderio alla Missione. Non è solo una questione di sesso: è voler essere una falena che vive solo per la luce, fino a bruciare in una vampata felice, quando davvero mi consumerò nel mio desiderio.
Ma ci sono momenti, come quello che sto vivendo, in cui questo non è possibile: immobilizzato a letto, privato della possibilità di celebrare, con la testa così vuota da non riuscire neppure a leggere o scrivere, figuriamoci ascoltare qualcuno o anche solo pregare. In momenti come questi, quando la felicità del ministero non è così evidente si avverte il peso della solitudine.
È come se la falena fosse bloccata, incapace di volare verso la luce. Sa che c’è, ma gli è vietata, non può più morire per essa, come vorrebbe.
Come è forte in quel momento il desiderio di una consolazione che riempia questo vuoto! Chi non conosce i preti magari pensa che le loro fantasie notturne sono fatte di donne esagerate, tutte culi e tette, e di perversioni inconfessabili, ma la realtà è tutt’altra: una mano delicata sulla fronte e una muta presenza premurosa mi sembrano in questi momenti infinitamente più desiderabili di qualsiasi notte di sesso selvaggio.
Finché anche nella mia nebbia non è apparso un raggio di sole e non ho messo a fuoco ciò che da sempre so, che l’essere prete non è un fare, ma appunto un essere, che seppure non potevo offrire il sacrificio della Messa, la mia stessa malattia era una condizione di sacrificio che mi dava molto da offrire e che, alla fine dei conti, se tutto ciò che il Signore mi chiedeva era giacere immobile in un letto, allora questo dovevo fare per salvare il mondo e tutto il resto non aveva importanza.
Non è strano? Passo metà della vita a mettere in guardia la gente dal demone del fare, dall’eresia chiamata Americanismo (uno dei mali maggiori della nostra Chiesa e della nostra società), quel demone insidioso che ci fa credere che una persona vale in ragione di ciò che fa e quindi ci porta a misurare la nostra vita sull’agire che soppianta l’essere (fino all’idolatria del successo, che è il punto terminale di questa sostituzione), eppure non mi sono accorto che aveva preso anche me, facendomi perdere il senso del mio essere, bloccato come ero nell’incapacità di fare.
Grazie don Fabio per questa bella testimonianza…!!! Anna
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l’eresia chiamata Americanismo (uno dei mali maggiori della nostra Chiesa e della nostra società): quanto hai ragione purtroppo! 😦
Credo che dopo l’esperienza della malattia tu sia in rado di capire chi è malato molto di più di prima. 😉
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rado: GRADO!
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