Non siamo nati ieri

Oggi con altri circa duemila sacerdoti ho partecipato al tradizionale incontro quaresimale che ogni anno il Santo Padre dedica al clero romano. Probabilmente, visto che in questi giorni il Papa fa notizia, sapete già tutto del suo mirabile intervento (45 minuti a braccio senza una sola parola inutile! Certamente la sua stanchezza non è mentale…) sul Concilio Vaticano II e forse lo avete anche potuto vedere e ascoltare.

Quello che vorrei raccontarvi invece è quello che non avete visto, cioè i momenti che hanno preceduto l’intervento del Santo Padre. Essendo questo l’anno della fede prima di incontrare il Papa abbiamo tutti insieme fatto la nostra solenne professione di fede all’altare della Confessione, nella Basilica. E’ stato un momento toccante, di grande intensità. Il momento più solenne è stato per me quando abbiamo fatto il nostro ingresso in Basilica cantando le litanie dei santi. Duemila preti e forse più formano un gruppo che quando si muove compatto anche visivamente senza dubbio si nota e poi c’era il canto, composto e partecipato. Tutta la piazza, piena come al solito di turisti e pellegrini da tutto il mondo, è ammutolita e si è unita a noi in preghiera.

Ma è stato proprio il canto delle litanie in sé ad impressionarmi, quel lunghissimo elenco di nomi, che ad un orecchio allenato suonano familiari e formano quasi un compendio di Storia della Chiesa, dicevano una continuità e una memoria impressionanti. Non siamo nati ieri, mi ripetevo entrando in Basilica e sentendo nominare Benedetto e Bernardo, Francesco e Domenico, Teresa e Agnese, Agostinoe Tommaso, Cirillo e Metodio, Brigida e Francesca Romana non potevo non pensare alle loro vite, ogni nome un link che scattava nella mente con una breve scheda mentale, e osservavo che rapidamente tutti questi nomi componevano nella mia mente l’imagine di un mosaico immenso che attraverso il tempo ritrae un unico volto, il volto di Cristo, Alfa ed Omega, Signore del tempo e della Storia.

Non posso negare che il drammatico gesto del Papa un po’ di ansia me l’ha messa addosso, continuavo a ripetermi che è il Signore a guidare la Chiesa, che devo fidarmi del giudizio del suo vicario, che alla fine dei conti non cambia nulla, ma un po’ di inquietudine restava sempre, non riuscivo a scrollarmi di dosso un certo senso di orfanezza, come di chi perde un punto di riferimento importante… Finché non ho partecipato a quella lunga litania di nomi e non ho pensato a quello che ciascuno di loro ha sofferto e visto, alle vie paradossali e misteriose in cui in questi duemila anni di Storia il Signore ha guidato il Suo popolo.

Non siamo nati ieri, ne abbiamo viste tante e siamo sopravvissuti a tutto, mille volte dati per spacciati e già sepolti dalla storia eppure ogni volta risorti più vivi, più puri, più determinati. La consapevolezza di un’identità antica, tanto antica, è una forza immensa a cui non possiamo e non dobbiamo rinunciare; come sarebbe importante inserire un po’ di Storia della Chiesa nella nostra Catechesi! Proprio in questa consapevolezza affonda le sue radici l’immensa forza di Benedetto XVI. In questa consapevolezza si appoggia la nostra stabilità, quell’essere roccia che è certamente di Pietro, ma attraverso lui di tutta la Chiesa e che mi fa ripetere oggi con piena convinzione: “non praevalebunt”!

Lasciatemelo dire. Non è trionfalismo questo, lo sarebbe se in qualche modo pensassi che questa stabilità si appoggia su di me e sulle mie risorse, invece poiché sono consapevole del fatto di essere stato inserito in questo corpo senza alcun merito, del fatto che il mio numero è stato estratto alla lotteria che, come dice San Bernardo con una metafora divenuta celebre, sono un nano seduto sulle spalle di un gigante, non c’è nessun trionfalismo, ma invece un’immensa gratitudine, uno stupore e una gioia che mi fanno dire, quasi incredulo, “davvero questo è stato fatto per me?”

Non praevalebunt: non siamo nati ieri e non moriremo domani, rassegnatevi.

P.S.

Per chi volesse ascoltare l’audio integrale del bellissimo discorso del Papa lo trovate qui

13 commenti

Archiviato in Attualità, Vita da prete

13 risposte a “Non siamo nati ieri

  1. 61angeloextralarge

    Grazie Don Fabio. Mi ritrovo a pensare che se Benedetto XVI ti ha fatto ricominciare a scrivere questi post… già qualche cosa di positivo c’è, anche nel dolore.

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    • Ti dirò… una qualche correlazione c’è… diciamo che mi sono preso come impegno di Quaresima di tenere il blog più aggiornato, chiamiamola “carità intellettuale” o più old-fashioned “consigliare i dubbiosi” 😉

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  2. Caro don Fabio,
    nelle sue parole ho rivissuto (si parva licet …) la mia piccola esperienza di conversione. Cattolico di famiglia cattolica, pure me ne vergognavo un po’. Da ragazzo ero un tipico esempio di “cattolico adulto”: allergico alla gerarchia ecclesiastica, sprezzante circa la venerazione dei Santi, tendenzialmente iconoclasta, diffidente persino verso Maria, ero in compenso molto moralista e tormentato nella coscienza. Allevato spiritualmente dai Gesuiti, ero insomma un bel frutto pseudoprotestante dello “spirito del Concilio”. Non vorrei tediarla a lungo, ma nel mio cammino di riavvicinamento alla Chiesa Cattolica, passato attraverso mia moglie, la vita di parrocchia, l’innamoramento per il Barocco, l’ascolto clandestino di radio Maria, l’educazione religiosa dei miei tre figli, il punto di svolta è coinciso con la morte di Giovanni Paolo II. Lì ho avvertito profondamente la solidità, la soprannaturalità, la santità della Chiesa; lì ho iniziato a comprendere il valore fondante della tradizione, che è continuità e comunione. Casa sulla roccia. Radicalità delle radici. Di fronte allo smarrimento del mondo (vero o inautentico che fosse) per la fine di un grande Papa, la Chiesa andava avanti lo stesso, grata ma imperturbabile, e ci donava questo suo splendido figlio e padre e pastore che è Benedetto XVI. Ebbene, o crediamo che la Chiesa è guidata da Cristo e che Cristo è nella Chiesa, oppure no. Io adesso lo credo, e non ho più paura: et portae inferi non praevalebunt.

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    • Grazie della tua testimonianza molto bella Franz.
      Credo che il segno più importante che ci lascia Benedetto XVI sia proprio questa dimensione squisitamente religiosa che tu testimoni nella tua storia di conversione.
      Sembra banale, eppure in tanti, in troppi, lo avevano dimenticato: essere religiosi significa avere la consapevolezza di una grandezza che ci supera da ogni parte e la percezione della propria piccolezza. Troppi gruppi ecclesiali ridotti a gruppi di autocoscienza, troppe pretese di “abbassare l’asticella” della fede, come se dipendesse da noi il contenuto oggettivo della Rivelazione, troppa presunzione che finiva con il ridurre la Chiesa ad un club di amici piuttosto che alla contemplazione di un mistero…
      La grandezza di Papa Benedetto è tutta qui, ci ha ricordato la nostra infinita piccolezza e se lo fa lui che è un gigante al mio confronto, quanto più io…

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  3. Ai posteri ,l ardua sentenza….io credo con FORZA,CHE Benedetto ,xvi ha servito il Signore e lo servira’ sino alla fine.Non voglio aggiungere di piu’.

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  4. bernardoluraschi

    “Non praevalebunt: non siamo nati ieri e non moriremo domani, rassegnatevi”.
    Cosa significa? Duemila anni di storia, cosa sono a confronto del tempo umano? Duemila anni di storia sono un battito di ciglia rispetto al tempo universale. Può essere in quei duemila anni la Cifra del Divino? Decine di migliaia d’anni hanno preparato l’Avvento, con l’operare di miliardi d’esseri innocenti che hanno fatto quello che potevano in assenza di Grazia Divina. Ancora oggi miliardi di uomini agiscono come possono in assenza di tale Grazia, non facendo per questo peggior servizio all’uomo dei Prediletti di Dio.
    “Viandante non v’è via, la via è l’andare” scriveva il poeta Machado (in realtà si esprimeva in modo leggermente diverso).
    Con questo intendo che tutti siamo in cammino e a esser ancora più espliciti in cammino verso la morte terrena, dopo di ciò l’ignoto ci attende ben oltre la fede. In tutto questo nessuno prevarrà, financo la Chiesa Cattolica Apostolica Romana, certo oggi e domani prevarrete, questo è il vostro tempo ma si tratta sempre di un tempo umano, ricordo che la religione egizia ormai scomparsa, è durata più a lungo di quell’Apostolica Romana.
    Bernardo Luraschi

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    • MaX

      Doverosa e condivisa la precisazione in merito al tempo umano e all’impossibilità del rapporto col non-tempo divino. E dunque nemmeno prima dell’avvento del Cristo ci può essere “assenza” di grazia divina: se Iddio “è”, l’Unico ad essere veramente, la grazia è presente prima, durante e dopo il tempo della manifestazione, solamente si mostra in altri modi che quelli attuali: altrimenti dove sarebbe l’eternità? Dopotutto anche Eckhart cita i maestri pagani, e se li chiama a quel modo un buon motivo lo aveva senz’altro. Il tempo esiste per l’uomo che è un essere finito, non esiste per Dio ch’è Infinito. Il solo luogo ove è necessario che le forze infere non prevalgano è nell’insondabile profondità del cuore, là ove s’incontra veramente l’Altissimo. Certamente siamo tutti in cammino, verso la morte terrena e verso la seconda morte, più sottile e temibile; e dunque meglio non attaccarsi all’idea di dover prevalere materialmente nella rozza, instabile, illusoria e fugace dimora del Princeps huius mundi, ove , per ricordare Qoelet (1:7), “tutti i fiumi corrono al mare, eppure il mare non si riempie”.

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  5. Antonio

    Caro don Fabio, su quello che scrivi talvolta concordo, talvolta no. Sempre apprezzo però la foggia non banale, tagliente e ironica, che dai al tuo pensiero. Così rara tra noi, e così preziosa! Questa volta sono proprio d’accordo. 2000 anni di storia! Io, tu e ciascun nostro fratello pensa agisce e talvolta scantona a partire da questa memoria storica, che i più non avvertono neanche. Non è affatto questione di trionfalismo, come dici tu, che il miserere è spesso l’intonazione melodica più appropriata con cui accompagnare lo sviluppo narrativo di questi ultimi XX secoli (e forse più). E’ questione, come direbbe Gadamer, di “coscienza della determinazione storica”. Questa coscienza, da sola, ci libererebbe dall’infantile sorpresa con cui troppe volte sobbalziamo con eccesso di fronte alle solenne minchiate che ordini del giorno stabiliti da altri (più o meno sempre i soliti) ci mettono di fronte, e ci renderebbe un pochino più avvertiti nel discernere i veri, e non chiassosi, “segni dei tempi”. La coscienza storica non è polverosa custodia delle vestigia di famiglia; è, sempre e al contempo, coscienza escatologia confitta nello spirito del credente! Per cui: W la storia della Chiesa nella catechesi, hiphip urra!

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