Ma che festa è?

Ho deciso di anticiparmi il lavoro e di pubblicare oggi l’articolo che stavo immaginando per la festa della donna, sia per giocare di anticipo (se riesco a smarcarmi dal coro forse qualcuno in più mi ascolta), sia perché di doman non v’è certezza e chissà che farò l’otto Marzo.

Confesso che questa festa mi ha sempre messo leggermente a disagio e non perché non ami le donne (i maligni dicono che le amo troppo), anzi, sono discepolo di uno che fregandosene delle convenzioni del suo tempo ha sempre dato alle donne il massimo rilievo, fino a vietare il ripudio, la più odiosa e maschilista delle pratiche ebraiche, fino ad ammetterle nel circolo ristretto dei suoi discepoli, fino a farne le prime testimoni della Risurrezione.

No, il fatto è che non ho mai capito che razza di festa sia. Per me far festa è celebrare l’unità, la gioia di essere in un’alleanza, in un rapporto più forte del mondo e delle avversità. Non posso quindi comprendere una festa fondata sulla divisione, una festa della donna contro l’uomo, una festa in cui anziché l’unità della donna con l’uomo si celebra l’unità delle donne tra loro.

Il modello è quello della solidarietà di classe, come se l’essere donne fosse equivalente, che so, all’essere metalmeccanici o lavoratori precari. Anche ammettendo lo schema marxista che pone necessariamente le classi sociali in contrasto tra loro, considerare l’appartenenza al genere femminile al pari di una classe mi sembra una colossale forzatura, perché l’essere donna, al pari dell’essere uomo, non ha a che fare con quello che si fa, ma innanzitutto con quello che si è.

Che ci piaccia o no siamo esseri relativi e lo saremo sempre, ciò che ci definisce è un rapporto, una relazione.Nessuno quindi può essere compiutamente se stesso senza l’altro, nessuno trova la sua identità prescindendo dall’incontro. Come dice Martin Buber è il tu che rivela l’io.

Per questo la Bibbia insegna che non è bene che l’uomo sia solo, per questo è stato creato nella polarità sessuale. Siamo diversi, è ovvio, ma abbiamo bisogno di questa diversità, per creare un’unità che sia reciprocità e non uniformità. La diversità fa faticare, ça va sans dir, ma è la sola cosa che possa riempire la solitudine esistenziale che ciascuno si porta in cuore, non posso essere completato da uno uguale a me.

Non posso quindi celebrare una festa basata sulla lotta e sulla divisione. Se ci fosse una festa dell’alleanza maschile/femminile, una festa che celebra la complementarietà dei sessi, in cui cantare la diversità che sa fare unità anziché cercare la contrapposizione questa sì la celebrerei. Non una festa della donna quindi, ma una festa della donna E dell’uomo.

7 commenti

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7 risposte a “Ma che festa è?

  1. Mario G.

    Grazie don Fabio, ti chiedo però – se puoi – di sviluppare questo concetto: “Nessuno quindi può essere compiutamente se stesso senza l’altro, nessuno trova la sua identità prescindendo dall’incontro” volgendo lo sguardo a quelle persone (con ad una mia carissima amica, di cui ti ho parlato) a cui è morto il proprio consorte e con esso/a sembra “morta” ogni speranza e fiduciosa attesa di un Bene più grande. Già in questa terra.

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  2. Ciao Don Fabio, leggo sempre con interesse i tuoi post, ma mi dispiace questa volta non condivido quello che scrivi. Capisco che al giorno d’oggi l’otto marzo sia diventato un evento commerciale, infarcito di mimose sovrapprezzo, spogliarelli maschili e ovvietà varie, ma vorrei solo puntalizzare che in questa giornata si celebra la “Giornata internazionale della donna” che non necessariamente è una festa, anzi! E’ un momento per ricordare il percorso -ad ostacoli- delle donne nella società e per celebrare il crescente contributo che a questa forniscono, e non dovrebbe rappresentare nessun momento di lotta o di divisione.
    Altrimenti potremmo abolire anche la festa della mamma (vista come momento di lotta e divisione contro le zie), il 2 novembre (insopportabile rivendicazione dei morti contro i vivi) e non ultimo il Natale (tentativo già in atto). ;-D
    Il fatto che molte delle questioni sociali relative alle donne siano risolte -almeno in occidente- non è un valido motivo per ritenere superata e inutile questa giornata, piuttosto avrei una debole proposta: perchè noi cattolici siamo sempre così bravi a lasciare agli altri le buone proposte solo perchè “gli altri” le sostengono? Non potremmo invece ragionare sulle idee e non sulle persone senza fare di tutta un’erba un fascio? Altrimenti la vera divisione è quella che portiamo avanti noi, e poi ci lamentiamo che nessuno crede più.

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    • Capisco che uno dei limiti del genere letterario della provocazione sia quello di non essere immediatamente comprensibile, e che quindi questo mio articolo possa generare fastidio, ma ciò che voglio non è tanto parlare della ricorrenza dell’8 marzo in sé, ma sottolineare il cul de sac in cui si è cacciato oggi il femminismo.
      Quando capita di leggere corbellerie come questa scritta da Shulamith Firestone, una delle più autorevoli ideologhe del femminismo radicale: “Come la meta finale della rivoluzione socialista non era solo l’eliminazione dei privilegi di classe, ma la stessa distinzione in classi, così, così il fine ultimo della rivoluzione femminista deve essere non solo l’eliminazione dei privilegi maschili, ma la stessa distinzione in sessi” come si fa a non reagire?
      Qui non è in gioco semplicemente il ruolo o la posizione della donna, ma la stessa definizione di umano, la stessa antropologia.
      In altre parole bisogna dire con forza che abbiamo bisogno di un altro femminismo, basato su logiche di complementarietà e non di contrapposizione, che parta dall’alleanza e non dalla guerra dei sessi

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  3. 61angeloextralarge

    Sono donna ma non ho mai voluto “festeggiare” questa festa. Fin da giovane ho trovato assurdo il comportamento delle donne che quella sera “fanno da matti”, oscenità comprese. Non è solo la commercializzazione, ma anche la volgarità, che esce in tutte le salse in questa occasione, a darmi il voltastomaco. Che c’è da festeggiare palpando le natiche di un uomo, pagato per dare spettacolo? Che c’è da festeggiare se poi durante l’anno la mia figura di donna è usata per scopo di lucro, mercimonio, pubblicità, etc. La donna “contro” l’uomo non mi piace!

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  4. Sono d’accordo con melanele, purtroppo sempre più questa Giornata è mal compresa e mal interpretata. Studio e frequento i femminismi da anni, femminismi, per l’appunto, perché fin dall’inizio è sempre stata una realtà plurale, e non sempre una realtà contro (ma a volte anche “contro”, e giustamente ritengo, atteggiamenti radicati e inaccettabili). Troppo spesso quando si parla di femminismo si ha in mente una semplificazione che non esiste nella realtà e purtroppo, anche e soprattutto per incapacità e scarsa voglia di comunicare da una parte e dall’altra, poco si conosce di quel che attraversa i femminismi, dove a mio parere, invece, c’è anche molto di buono. Non vado oltre proprio perché è un tema complesso, finirei per annoiare tutti e non fare un buon servizio a nessuno. 🙂

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  5. francesca

    mah, a me sembra che forse, in questo periodo, sarebbe bello festeggiare la donna. Mi spiego: sono contraria al femminismo che vuole la donna come l’uomo, o che fonda il suo atteggiamento sullo scontro, come fosse una gara. Sono anche in disaccordo con l’attuale tendenza, femminile ancor prima che maschile, di far della donna oggetto sessuale, anche quando va a fare la spesa o siede su un banco in Parlamento. A me piacerebbe che l’otto marzo fosse una giornata di festa in cui l’uomo rende omaggio alla donna, magari con un pizzico di galanteria e romanticismo, così, per riscoprire quelle sottili differenza che, senza nulla togliere all’uguaglianza di diritti e doveri, rendono affascinante il rapporto tra i due sessi. Una festa leggera insomma, delicata, semplice nel suo mistero.

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