Domani sarà l’anniversario della morte di Lucio Dalla. Allora scrissi questo pezzo per lui e lo ripubblico oggi con piacere.
———————————————————
Ancora non si è spento l’eco dei “coccodrilli” per la morte improvvisa di un cantante e poeta amatissimo, ed io vi confesso che in questi casi sono piuttosto infastidito. Lucio Dalla ci ha regalato una manciata di canzoni e poesie straordinarie, piene di bellezza ed umanità, è stato un cantautore atipico, ottimo musicista, di solida impostazione jazz, e poeta delicato e profondo, pieno di umanità.
Non sapevo che fosse credente e ne sono felice per lui, ma mi sembra un pochino eccessiva la beatificazione post-mortem di uno che ha comunque vissuto la sua fede nella lotta quotidiana, come tutti noi, ed accanto a gesti belli e slanci mistici ha avuto anche le sue contraddizioni e debolezze.
Come tutti noi.
Però tra le sue canzoni ce ne sono alcune che, proprio perché profondamente umane, sono anche profondamente cristiane.
Più di tutte, forse, quella che dà il titolo a questo articolo.
“Cosa sarà?” Significa che al cuore della vita c’è una domanda, un mistero, un punto interrogativo. E’ la stessa cosa che cantava Leopardi quando si chiedeva “A che tante facelle?”.
Ma in più, rispetto a Leopardi, Dalla ci dice anche che questa domanda pone su di noi una responsabilità, come aveva intuito anche il Rimbaud di “Une saison en enfer”:
“Io, io che mi ero creduto mago od angelo, profeta od indovino, eccomi riportato sulla terra, con la rugosa realtà da stringere ed un dovere da cercare.”
Non possiamo eludere questa domanda. “Dobbiamo cercare”, se non lo facessimo verremmo meno a qualcosa che in maniera oscura percepiamo come una chiamata, una vocazione imposta su di noi dal semplice fatto di esistere.
Ma se c’è una chiamata ci sarà anche un chiamante, se la vita ci pone addosso una responsabilità ci sarà pure qualcuno a cui dobbiamo rispondere (responsabilità viene da rispondere, significa render conto ad un altro).
Significa alla fine dei conti che ognuno sa, in modo oscuro, non razionale, che la vita è stata ricevuta come un dono, che il creato non si è creato da sé. E’ un’evidenza prima, del cuore più che della ragione, ma davvero sarebbe ragionevole una ragione che cercasse di sopprimerla?
E qui sta il punto, perché l’inquietudine di Dalla e Rimbaud e di tanti altri, se ancora quando avevo vent’anni sembrava l’anelito di un’intera generazione (la generazione “blowin’ in the wind” potremmo chiamarla, quella che cercava risposte nel vento) oggi mi sembra in ribasso. Non spenta, perché questa domanda è talmente radicata nel cuore umano da non poter essere elusa del tutto, ma soffocata.
Come se fossimo tutti preda di un cinismo, di un disincanto che ci ha tolto la capacità di guardare oltre, di sentire che la vita non può essere solo spread e bilanci e tasse da pagare, per dirla con il vituperato Celentano, che almeno in questo però ha ragione.
Senza l’aspirazione a un di più la vita è un inferno.
E la misura del nostro di più, l’ambizione del nostro vivere, è ciò che definisce la nostra qualità umana, giacché ci misuriamo sul nostro fine.
Ricordo ancora con terrore un giorno in cui chiesi ai bambini del catechismo cosa volevano fare da grandi: c’era chi voleva fare il calciatore e chi il pompiere, chi la mamma di famiglia e chi il poliziotto, tutti sogni belli, legittimi, che rimandano infine ad una trascendenza, ad un desiderio di “essere di più per dare di più”; uno di loro però mi gelò il sangue quando gli sentii dire che voleva fare il promotore finanziario. Quale futuro avrà questo bambino mi son chiesto? E quale ideale gli han saputo trasmettere i genitori? Quale sarà la vita che costruirà?
Noi cinquantenni abbiamo una responsabilità enorme: abbiamo derubato la generazione successiva di ogni sogno ed ideale, al grido di “tutto è impuro!” (grido di dolore in alcuni, grido di guerra in altri, in alcuni infine astuta manovra commerciale) abbiamo ucciso i sogni e le speranze di una generazione intera, che ora non ha più niente da cercare.
Come meravigliarsi se il mondo annega nella noia e nell’irresponsabilità?
Tutti dobbiamo rispondere a Colui che ci ha creato,anche chi non crede deve rispondere , se non vorrà rispondere a Dio risponderà ai suoi figli, a tutte le persone che hanno creduto in lui e sono rimaste deluse,per i sogni persi ,per per tutte le cose belle e vere che ci offre la vita. E’ vero questa società sta scivolando in un declino crescente verso l ‘aridità dei sentimenti,dove il fratello non guarderà più il fratello ma soltanto il suo egoismo, dove ciò che conta è solo unicamente il denaro,e chi ne ha, ne avrà sempre di più ,chi non ne ha non gli permetteranno di averlo.
"Mi piace""Mi piace"