Inno al bassista

Ti ricordi il nome dei bassista dei Dire Straits? No dai, te lo ricordi?

E il bassista dei Queen? E quello degli Who? E quello dei Nirvana? E quello dei Rolling Stones?

No, Paul McCartney è fuori categoria, perché non te lo ricordi come bassista, ma come cantante.

E sono fuori categoria pure Jaco Pastorius e Charlie Mingus, che erano geni assoluti e superstar naturali. E poi erano jazzisti.

Ma il fatto è che in genere il bassista è il primo che ti dimentichi, è quello che sta dietro, in seconda linea, è quello che quando metti su la tua prima band è un po’ più sfigato: il chitarrista meno bravo, il tipo meno appariscente, quello serio, timido, riservato.

E invece è lui l’anima del sound. Provate a togliere il lavoro di John Illsley dal primo disco dei Dire Straits e vi troverete tra le mani invece del capolavoro che quel disco è una roba piatta e senza mordente.

Ho sempre amato i bassisti, che sono un po’ come i mediani, quelli di cui canta Liga, quelli che stanno sotto e reggono tutto, i piloni nel pacchetto di mischia, i diesel della musica, quelli solidi, affidabili. Che dal chitarrista te lo immagini che ogni tanto si assenti dal suono e i cantanti sono un po’ pazzi per definizione, si sa, ma se si ferma lui tutti gli altri si guardano un po’ smarriti e si domandano: “e mo’ che devo fare?”.

Il bassista è l’uomo squadra, quello che non suona per se stesso, e nemmeno per il pubblico (che tanto il 99% di quelli che stanno lì, manco si accorgono che esiste), ma per la band.

Ci vuole tanto amore per fare il bassista, tanto amore e niente narcisismo.

Sei tu che dai un senso alle botte che mena il batterista, sei tu che tieni insieme i gorgheggi del cantante e gli assoli del chitarrista: quelli vanno su e giù per il palco come invasati pieni di sè e tu dietro, nascosto, in silenzio con pazienza stai lì a cucire tutti quei saliscendi, a tenere insieme le quarte e le settime, a dare a tutti gli attacchi giusti per evitare che ognuno se ne vada per conto suo.

Sono un po’ come i parroci i bassisti, perdonatemi l’analogia dettata dal mio mestiere. Non sono loro i grandi predicatori né i grandi padri spirituali, hanno troppe grane per esserlo, non sono nemmeno gli eroi della Carità, occupati come sono a tenere insieme la baracca e far quadrare il bilancio. Non sono mai quelli che ti ricordi, molte volte non hanno più neanche un nome, sono soltanto “il parroco” o dalle parti di Milano “il don”, però senza di loro non c’è Chiesa, non c’è comunità, non c’è popolo e in definitiva non ci sono né il predicatore, né il padre spirituale né l’eroe della Carità. Manca quello che tiene tutto, legando insieme tutte le anime della Chiesa, manca il “sound” nell’anima delle cose.

E allora se vuoi capire la musica ascolta il basso. E se vuoi capire la Chiesa guarda il parroco.

11 commenti

Archiviato in De oves et boves, Vita da prete

11 risposte a “Inno al bassista

  1. paolopugni

    Patrick Zivas però io me lo ricordo, e bene

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  2. francescoclemclem

    John Deacon per i Queen. Autore anche di diversi pezzi (another one bites the dust per dirne uno). Tra l’altro corrisponde perfettamente al profilo di bassista che leggo qui…
    Quindi capisco la Chiesa! 🙂

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  3. Franci

    forse non te l’ho mai detto, ma il basso è il mio strumento preferito!! Ti quadra con la mia figura?!?!?

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  4. Da chitarrista chiedevo sempre di aver il basso a palla nella cassa spia, e adoravo sentirlo nitidamente durante le prove e i live. Hai magistralmente descritto la sua essenza: magari nessuno si accorge di lui quando suona, ma se viene a mancare si sente eccome. La metafora con il parroco calza quindi a pennello: non vivete per la vostra gloria e spesso noi parrocchiani ci dimentichiamo che esistete, ma nel momento in cui venite a mancare capiamo quanto siete importanti. Ergo: ricordiamoci più spesso dei nostri parroci e siamo grati a loro e a Dio per la vocazione che vivono. (stavo per scrivere “per il lavoro che svolgono” ma ho sempre detestato paragonare l’essere parroco ad un “lavoro”, è troppo riduttivo e svilente…) Ah, ovviamente vale anche per i bassisti… 😉

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  5. 61Angeloextralarge

    Colpito e affondato! Non mi ricordo nessun nome di bassista… nemmeno dei miei “miti” dei tempi che furono…
    Però prego sempre per i parroci… sono perdonata? Anzi, mi assolvi?

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  6. giorgio pezza

    John Illsley, John Deacon, John Entwistle, Krist Novoselic, Bill Wyman. E quel grande di “don” John Paul Jones, che per resistere agli altri “3 mostri” della sua band, ha dovuto tirare fuori sangue e sudore…

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  7. Oltre a considerare che come uomini…sono i migliori.
    Io mi innamoro sempre del bassista 🙂
    Poco narciso (basto io..che sono cantante), sempre a ritmo, mani lunghe 😛

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