Sulla povertà

filename-la-prima-colazioneOggi mi sono alzato un po’ più tardi del solito. Avevo dimenticato di mettere la sveglia ieri sera, e così mi sono goduto un risveglio lento e una colazione comoda. Mi sono preso la mia tazzona di caffé e il cannolo siciliano generosamente offerto dalla pasticceria qui accanto e mi sono accomodato nel chiostro interno della parrocchia, quello che ospiterà le Benedette Serate. Che al momento, come è ovvio, somiglia ad un cantiere.

Mentre mi gustavo il fresco del mattino ed osservavo quel cantiere, mi sono lasciato andare ai ricordi e alla fantasia. Ho ricordato altre colazioni simili in Val d’Intelvi su una magnifica terrazza fiorita messa a disposizione da una coppia di amici che mi hanno ospitato per una vacanza.

Ed ho cominciato a fantasticare sulla casa che non avrò mai, visto che per doveri d’ufficio ho sempre abitato e sempre abiterò in anonime case canoniche.

Ho pensato che nella casa dei miei sogni non può mancare una terrazza come quella, anzi, che la mia casa ideale è una terrazza con un paio di stanze intorno, che il motivo fondamentale per cui sono state inventate le terrazze sono le colazioni estive. Che il mix di fiori, caffé doppio, cannolo siciliano e aria fresca del mattino produce un’incontenibile gioia di vivere.

Il dettaglio di una moglie amabile che prepari la colazione e si prenda cura dei fiori era coreografico nel mio sogno ad occhi aperti, ma nulla di più, il tema del sogno era proprio la terrazza e il piacere della colazione in sé.

Naturalmente questo sogno ad occhi aperti è durato poco, un minuto al massimo, e quando sono tornato alla realtà mi sono soffermato a riflettere sul senso della povertà, su questa misteriosa forza che mi spinge a rinunciare deliberatamente a tutto questo, a voltare le spalle al mondo, non sdegnosamente, non con disprezzo, ma con gioia, con la gratitudine di chi è felice perché la bellezza esiste, anche se non è per lui.

La maggior parte della gente, che non sa cosa siano i voti religiosi, pensa alla povertà come una roba di scarpe rotte e vestiti vecchi, in realtà è molto, ma molto di più di questo.

La povertà consiste nel non voler possedere nulla, dove l’accento non va sul possedere, ma sul volere. In altre parole non è questione di cosa mangi, di cosa indossi o dei gadget che usi, ma di cuore, di ciò che hai a cuore.

La differenza sta nell’atteggiamento che si ha verso i beni di questo mondo. Chi ha della povertà una concezione ideologica disprezza le cose, diffida del mondo e della sua bellezza e, come dice Rimbaud, fa su ogni gioia il balzo della bestia feroce. Chi invece ama la povertà come una sposa sa godere di tutto ciò che è bello e ne gioisce come chiunque, ma senza attaccarci il cuore.

A me ad esempio, per come sono fatto io, dei bei vestiti non frega nulla. Come ci sono donne che riescono ad essere eleganti anche indossando uno straccio, io riesco a sembrare sciatto pure con una giacca di Armani (ne ho una sepolta nell’armadio). Sono invece sensibile alla bellezza. Se potessi, se non avessi sposato la povertà, mi circonderei di bellezza: quadri, mobili, fiori… tutto ciò che è bello, e che ovviamente costa denaro, molto.

Il punto è che per quanto ami la bellezza non la voglio per me. Come scrive l’immortale Chesterton: “La gioia non vuole cogliere la rosa che ha davanti. Essa fissa la Rosa Eterna di Dante”.

Allora capisci perché vuoi essere povero, perché alla fine dei conti vuoi continuamente ricevere tutto come un dono, perché il bello della bellezza è proprio che non ti appartiene, perché se fosse tua in breve sfiorirebbe, perfino la mia amata terrazza immaginaria, perché se sono capace di non possedere niente allora posso guardare a tutto ciò che accade, attimo dopo attimo, come un dono costante e costantemente rinnovato, in un delirio di felicità crescente.

La povertà, come il celibato, mi mantiene bambino, mi dona la gioia di stupirmi attimo dopo attimo di ciò che ricevo, è la meravigliata e grata sorpresa di esistere.

 

6 commenti

Archiviato in De oves et boves, Vita da prete

6 risposte a “Sulla povertà

  1. Luca Zacchi

    L’ha ribloggato su Luca Zacchi, energia in relazionee ha commentato:
    Da leggere e condividere.

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  2. Filippo

    Grazie! Bellissima riflessione. Buona giornata.

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  3. 61angeloextralarge

    “in realtà è molto, ma molto di più di questo”: credo che capirlo sia un passo grandissimo da fare. Essere poveri per scelta, per amore, per gustare tutto fino in fondo, per imparare a dipendere veramente da Dio, per… tanto altro ancora. Hai ragione in pieno e ti ringrazio. I Voti di Povertà sono una cosa grande, come gli altri 2 Voti. Arrivare a viverli pienamente! Che bellezza! Senza esibire scarpe rotte e vecchie o abiti rattoppati: non è l’abito che fa il monaco…
    E’ molto diverso l’essere poveri per necessità, dove le scarpe rotte fanno male perché le si vorrebbero, giustamente, sane.

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  4. Se pensiamo che tutto ciò che abbiamo sono doni di Dio, allora le cose le guardiamo con altri occhi, se nulla è mio ma mi è donato, ringrazio allora il buon Dio …ma non le bramo

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  5. ci sono persone che hanno bei terrazzi fioriti, dolci mogliettine…ma non hanno il tempo o la voglia di fare colazione…..la realtà è ben diversa dai sogni….ad esempio ci sono frati che hanno bei conventi, con terrazzi fioriti dove poter fare colazione…ed anche se ogni tanti anni cambiano convento, sempre trovano qualche bel posto dove sedere e riflettere, perchè i conventi non sono anonime case canoniche….ora che non esiste quasi più la clausura nei conventi, essi son diventati luoghi di accoglienza, dove, oltre ai due o tre frati che vi risiedono, circolano tante altre figure…ad esempio il cuoco, il giardiniere, la terziaria, etc….penso che un frate difficilmente si sente solo….ovunque va trova una casa e gente accogliente….al giorno d’oggi forse conviene più essere frati che semplici operai, almeno il terrazzo fiorito dove fare un’abbondante colazione lo si trova sempre 😀 ….invece l’operaio, soprattutto se è turnista, la colazione raramente la fa, perchè o è al lavoro o dorme….e di sicuro non ha il barista gentile che gli offre il cannolo….e forse non ha neanche la dolce mogliettina che gli prepara il caffè ed annaffia i fiori….però forse ha da parte un pò di soldi, guadagnati col duro lavoro….eppure si priva di tante cose….tutti sogniamo, desideriamo, ma alla fine restano solo sogni perchè vogliamo vivere una realtà diversa dal sogno…..non ci vuole molto a creare un angolo di sogno, basta mettere qualche geranio sul mini balconcino, prepararsi una colazione e consumarla lì….eppure non lo facciamo perchè viviamo nelle nostre case non per gustarcele, ma semplicemente per utilizzarle….in realtà siamo tutti poveri, perchè non siamo capaci di gustarci quel poco che abbiamo.

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  6. Giampiero Cardillo

    Poco da aggiungere, molto da condividere degli acuti tuoi pensieri, don Fabio.
    Ergo condividiamo.
    Tu,che non sei troppo più giovane di me, ricorderai il magistrale ” pezzo” teatrale del grande Giorgio Gaber: due ragazzini, uno ricco e uno povero si raccontano dei loro papà. Il ricco dice al povero :” mio papà mi ha portato su una collina e mi ha detto: guarda! Tutto ciò che vedi qui sotto e qui intorno un giorno sarà tuo”. Il fanciullo povero narra a sua volta: ” anche il mio papà mi ha portato proprio sulla stessa collina e, di fronte al meraviglioso panorama,mi ha detto: ” guarda!”.
    Avevo diciotto anni quando vidi Gaber all’Alcione, qui a Roma ed erano gli anni furiosi del dopo ’68. Per il povero al quale la proprietà era negata, sembrava non essere possibile accettare il solo “comodato d’uso” del creato, limitato ad uno solo dei sensi : la vista e pure da lontano.
    Non poter “avere” era il “non essere” di Fromm.
    Se non hai non sei, non esisti e non esiste niente per te. La proprietà come categoria dell’essere? E’ la povertà come negazione della vita, quando non vale la pena di viverla?
    Le lacerazioni del mondo Cristiano di allora furono tremende.
    Ricordi don Fabio? I fondamenti dell’economia, accettati dalla tradizione cattolica erano di derivazione tomistica,mai compresa fino in fondo. Si confondeva con la rabbia e l’odio di classe, dove il “possesso” era il presupposto del “poter usare” ed era contestato al punto che la povertà come valore era relegata alla categoria della “rinuncia” volontaria per una Santa purificazione , un distacco para buddista dalle passioni del mondo, che sacralizzava solo chi fosse in grado di sostenerne il peso. Il mito sacerdotale accettato di quegli anni era don Milani, ex ricco, dedicato ai poveri, che sceglie di vivere la loro povertà, ma non senza produrre un generale e solido risentimento e un forte anelito di riscatto. Restava dunque intatta la dicotomia :
    proprietà – valore -gioia di vere di pochi // povertà- disvalore-dramma dell’esistenza di molti.
    La tradizione politica cattolica, ancora oggi sconosciuta si cattolici superstiti, rappresentata da don Luigi Sturzo, riconosceva che ” la proprietà stabile si presenta connessa con lo svolgimento delle tre forme della socialità: l’affettività e la continuità ( famiglia), la garanzia di ordine e difesa( politica), i principi etici e finalistici ( religione) -cfr ” La società sua natura e leggi, pg.- 44.
    Insomma il pensiero politico cattolico moderno riflette sul fatto che la proprietà è ” quasi una estensione dell’individualità umana alle cose” il concetto di appartenenza è ” intimo, è personale e arriva arriva allo stato di affezione e può divenire attaccamento anche morboso”- ibidem,pg. 112.
    Ma aggiunge, profetico, che la proprietà individuale non ha valore se non ha una “utilità sociale”. Il modello moderno cattolico di esercizio della proprietà, la sola che trovi “giustificazione” e quella che consente di leggere una sua ricca proiezione sociale . L’uomo – modello è sicuramente quello incarnato da Adriano Olivetti, straordinario e sconosciuto esempio di soluzione, mistica e perciò realistica, del conflitto tra proprietà e povertà , tra individualismo e socialità.
    Tutte cose da riscoprire per capire fino in fondo la portata enorme delle tue parole, don Fabio su di una questione centrale per la nostra formazione cristiana, per le nostre vite. Perciò trova il tempo e il modo di ritornare su questo argomento.
    C’è molto da imparare da uno che riesce ancora a vivere attimi di paradiso su un terrazzo in comodato d’uso, solo con un caffè e un cannolo in mano.

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