Tesi nell’attesa

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Grazie a Clemente Rebora per aver ispirato questa Omelia.

Omelia per la prima Domenica di Avvento, anno B

Vangelo:

Mc. 13,33-37

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

Clemente Rebora: “Dall’immagine tesa”

Dall’immagine tesa
vigilo l’istante
con imminenza di attesa –
e non aspetto nessuno:
nell’ombra accesa
spio il campanello
che impercettibile spande
un polline di suono –
e non aspetto nessuno:
fra quattro mura
stupefatte di spazio
più che un deserto
non aspetto nessuno:
ma deve venire,
verrà, se resisto
a sbocciare non visto,
verrà d’improvviso,
quando meno l’avverto:
verrà quasi perdono
di quanto fa morire,
verrà a farmi certo
del suo e mio tesoro,
verrà come ristoro
delle mie e sue pene,
verrà, forse già viene
il suo bisbiglio.

Omelia

Qui il testo dell’omelia per ascoltarlo in streaming o scaricarlo

1 Commento

Archiviato in Omelie

Una risposta a “Tesi nell’attesa

  1. Giampiero Cardillo

    Per i poeti, spesso e a torto, non c’è pane, ma senza di loro vivremmo sicuramente peggio. Allora aggiungo alle tue poche altre parole sull’Attesa che è Speranza. Le parole di Pablo Neruda:
    ” la Speranza ha due bellissimi figli: lo Sdegno e il Coraggio. Lo Sdegno, per aver avuto conto della realtà; il Coraggio, per cambiarla “.
    Trovo un nesso fortissimo fra il tuo commento alla “parabola dei talenti” della scorsa settimana e questa “apertura” del tempo liturgico di Avvento.
    San Escrivà de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei, ricordava come un chiodo che si piantasse troppo facilmente nel muro non reggerebbe poi molto peso e che occorre tenere più a finire un lavoro e farlo bene e con impegno santificante, che a cominciarne due, senza portarne a termine nessuno.
    Avere Speranza non significa, dunque, attendere paralizzati e inoperosi. Avere Speranza significa avere coraggio, voglia di fare e di far bene quello che si fa.
    Bisogna “mettersi a disposizione” della propria Speranza.
    Dalle tue parole si comprende che l’uomo che spera è l’uomo che costruisce il Bene, coraggiosamente e faticosamente, dalle fondamenta alla banderuola sul camino.
    Del resto “attendere”, come fai capire, nella ricca lingua italiana ormai sempre più “rottamata”, significa anche “occuparsi di” qualche cosa, di un impegno, responsabilità, o di un compito o di un progetto.
    Come un Giano bifronte, l’Attesa prega con Speranza il Cielo, per poter “operare” il Bene sulla terra e non per volerlo “subire” immeritatamente.
    Grazie alla S. Liturgia che, a piccole dosi connesse fra loro, segue un percorso didascalico ogni anno più profondo, grazie a uomini come te che, con fatica e abilità, è capace di veicolarne il senso e la necessità.
    A proposito di fatica, la tua voce è tornata viva e incisiva.
    Era proprio questione di orario.
    Me ne rallegro.

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