Il mio articolo apparso su “La Croce” di oggi
“La religione cattolica è l’unica in grado di salvare l’uomo da una schiavitù degradante, quella di essere figlio del suo tempo (…) Non abbiamo bisogno di una religione che sia nel giusto quando anche noi siamo nel giusto. Quello che ci occorre è una religione che sia nel giusto quando noi abbiamo torto. Attualmente il problema non è se la religione ci consenta di essere liberi, bensì se la libertà ci consenta di essere religiosi” (G.K.C. da “La Chiesa Cattolica. Dove tutte le verità si danno appuntamento”)
Caro Mario, capita abbastanza spesso di sentir dire che la Chiesa dovrebbe essere più moderna, che il suo insegnamento dovrebbe adeguarsi ai tempi che sono cambiati, ma è proprio così? Se Dio è Dio non dovrei aspettarmi esattamente che ciò che mi dice risulti estraneo e difficile da capire? Come potrebbe essere vera una morale che non fosse esigente, che non mi chiedesse un continuo superamento di me stesso? Come credere ad una verità che non mi rimandasse costantemente ad una ragionevolezza superiore alla mia intelligenza?
La verità purtroppo è che chi vorrebbe una religione al passo con i tempi vorrebbe semplicemente essere al passo con i tempi e non avere nessuna religione (il cui stesso nome, non dimentichiamolo, ha a che fare con un legame) o, nel migliore dei casi, usare della religione ciò che più gli conviene, come un appoggio a idee costruite altrove, senza tener in alcun conto l’opinione di Dio. Così solitamente chi vuole un Cristianesimo progressista intende dire semplicemente che vuole essere progressista a prescindere dalla fede e chi lo vuole tradizionalista semplicemente che vuol essere conservatore. La vicenda del direttore de il Foglio, ultrapapista quando il Papa gli conveniva e fieramente avverso al Papa regnante, è una buona dimostrazione di ciò che sto dicendo. La realtà è che la nostra fede non sopporta aggettivi, perché Cristo è tutto, e se attacchiamo un qualsiasi aggettivo al Cristianesimo alla fine la cosa importante diventa l’aggettivo e ci si dimentica del sostantivo.
Se la Chiesa seguisse le mode del mondo si condannerebbe ad essere frivola e ondivaga, come è il mondo. Proprio perché attinge a un bagaglio millenario di tradizione invece resta sostanzialmente libera e indipendente. Proprio questa indipendenza è ciò che ultimamente il mondo non le perdona. Come si permettono questi Cristiani di non lasciarsi influenzare dall’opinione dei giornali alla moda e dei vari intellettuali di riferimento? Per questo la domanda non è se la religione ci consenta di essere liberi, ma se la “libertà obbligatoria” di questa nuova dittatura imposta dal mercato, di cui già cantava Gaber una decina di anni fa, ci consenta di essere religiosi.
La domanda è retorica e la risposta è chiaramente no: la libertà obbligatoria non tollera che l’uomo liberamente si sottometta a Dio. L’uomo che si fa dio non tollera concorrenti. Per questo molti degli interventi seguiti alla strage di Parigi, a partire da quello di Umberto Eco, mettono sullo stesso piano Islam e Cristianesimo, che in maniera differente insegnano entrambi questa sottomissione. Ma la foglia di fico è ormai diventata piccolissima e non è difficile vedere che il solo avversario di un mercato che vuole rendere merce ogni cosa, vita e morte comprese, resta la religione.
Islam e Cristianesimo dovrebbero e potrebbero essere alleati in questo scontro epocale, perché per entrambi all’inizio di tutto c’è un Dio Creatore che dona all’uomo una legge morale naturale a cui conformarsi per vivere meglio. Per questo gli ultimi Papi hanno cercato tenacemente il dialogo con il mondo islamico, a dispetto di qualsiasi difficoltà, per questo abbiamo bisogno dell’Islam, di un Islam attraversato dalla ragione, fecondato dall’incontro con la tradizione cristiana, come a volte è stato nella sua storia.
Ho letto tante volte questo articolo e ogni volta mi piace di più. Grazie
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Hai espresso in modo più chiaro di me il pensiero che ho avuto dopo i fatti parigini, grazie
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Il solo valido avversario del mondo senza Dio è Dio. Gli uomini scelgono troppo spesso altro, nonostante le etichette appiccicate a ciò che fanno.
Infatti, anche coloro che si sentono “legati” a Dio possono essere tentati, nel migliore dei casi, dal doppio errore del fare tre tende sul Tabor o di sprofondare nelle catacombe, allorquando si sentano minacciati o giustificati da missili a testata multipla, composti da attacchi diretti, dileggio, indifferenza, persecuzione, genocidio, corruzione.
È sui fatti che si misura l’effetto di quel “legame” con Dio, pur se, e a maggior ragione, si tratta di un Dio che ama e ama la libertà dei suoi figli.
La “moderna” scoperta del laicato cristiano, all’indomani della spinta anti- religiosa umanistica, che risolse la straordinaria stagione di mezzo, il medio evo, ha definito il difficilissimo terreno della “prova dei fatti” per il cristiano laico, operativo e responsabile, sussidiario e solidale, ma sempre risolutivo e non solo problematico all’infinito, maestro della corsa sul posto.
L’aforisma di Chesterton su libertà e religiosità è la contro-definizione dell’impegno laico di un cristiano e misura la difficoltà di capire il significato pratico della convivenza, della libertà e della religione nei tempi nostri.
Chesterton sembra voler spiegare che la religione è immanente rispetto alla storia, al tempo che passa, perché Dio non ha storia, né tempo. La religione separata dalla storia pone al cristiano una doppia difficoltà: agire e agire con una unità di misura della propria azione laica rappresentata come immutabile, non adattabile, non coercibile: cosa farebbe Gesù al mio posto?
E l’Islam, pre-moderno, pre- umanistico, nonostante Averroè, cultore di Aristotile, ci offre, sottilmente, la via arretrata e semplificata, che supera l’ostacolo difficilissimo dell’essere laicamente cristiani: non essere laici, per non essere tentati dal diventare laicisti corrotti insanabili, perciò eliminabili.
Storia vecchia per il mondo cristiano, prima della sua disfatta politica e sociale, dopo 500 anni di battaglie tutte perdute.
È storia vecchia e già vissuta e spesso a-storicamente riproposta: “tornare alle radici del Vangelo”, ha significato, nella realtà, nascondersi sotto tre tende sul Tabor o nel buio delle catacombe.
L’irrilevanza odierna dei cristiani nella politica, nell’amministrazione, nell’impresa e nel management, nell’arte, nell’insegnamento, nella scienza, trova pallido ed eroico ristoro nella sussidiarietà e nella solidarietà puntiforme, irrilevante, appunto, se non per l’anima di chi si gioca la propria vita facendo.
Il rischio di “fare un sistema” di questa laicità operosa, come insegna Toniolo e Sturzo, ha prodotto pochi frutti, celati ad arte, per non riconoscerne il valore alternativo globale e umanistico cristiano. Pensiamo a Adriano Olivetti, di adulta conversione, la cui operosità sovrapponibile al Vangelo non è stata mai esaltata come esempio di eroismo cattolico fino ad oggi, mentre fu avversato da destra e da sinistra, e si può capire, ma anche e soprattutto dai “cattolici” di allora, allorché tentò, attraverso un ridisegno della Costituzione, di “fare un sistema” di una difficile e partecipata prassi tutta laica, “realmente”aderente al Vangelo nei fatti.
Troppo difficile aderire al modello operativo del laico cristiano: la doppia fedeltà alla città dell’uomo e alla città di Dio, perché sia un’unica città, spaventa, se non terrorizza.
“Senza il cielo la terra è solo fango, guardando il cielo la terra diventa giardino”, ho sentito dire ad un Vescovo operativo come mons.Bregantini.
Troppo difficile essere laici: formare, formulare, confrontarsi, diffondere per difendere, ma soprattutto, testimoniare, giocando la propria vita nel rischio dell’operatività sociale, politica e amministrativa.
“La realtà è più bella dell’idea”, ci dice l’Evangelii Gaudium.
Grazie, don Fabio, per la tua fatica di esserci.
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