Una lettera d’amore

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Un mese fa è stato il trentesimo anniversario della mia ordinazione sacerdotale. Il giorno prima ho scritto questa lettera che è stata un po’ la mia meditazione di quel giorno. Sono stato a lungo indeciso se pubblicarla o meno, alla fine mi sono deciso a farlo pensando che ci sono tanti sacerdoti e consacrati che mi leggono e forse può fare un po’ di bene la condivisione di un cuore che dopo trent’anni di sacerdozio è magari un po’ stanco, ma si sente ancora giovane.


 

Scrivere o non scrivere? Questo è il dilemma, avrebbe detto il Bardo.

Mi si nota di più se lascio passare il trentennale della mia ordinazione sacerdotale in silenzio, ostentando umiltà e riserbo, oppure se scrivo un evitabilissimo carme di lode al Signore per tutti i doni di cui mi ha riempito? Così direbbe il geniale Michele Apicella.

Eh già perché in questa marmellata generale politica/spettacolo/tutto in cui si spiattellano in pubblico le cose più private non puoi semplicemente non voler apparire, anche quella, come insegna Lenny Belardo, è una scelta di immagine.

Magari pensavo di poter celebrare questo anniversario in quiete, magari in qualche casa di spiritualità, io e te e al massimo un paio di amici selezionatissimi, ma non si può perché la parrocchia ha i suoi tempi e i suoi ritmi e non ti permette mai di fermarti, e poi in tanti conoscono la data e sanno fare i conti e da voci e suoni che mi arrivano presumo che domani saranno qui a unirsi a te e un pochino anche a me mentre sull’altare rinnoveremo il nostro sacrificio e anche loro hanno diritto a far festa, in fondo è per loro che sono prete.

E allora? Allora, vecchio amico mio, se voglio un momento di intimità con te non mi resta che questo, scriverti una lettera, non una preghiera. Non in ginocchio davanti al tabernacolo, ma idealmente davanti a un caminetto con un bicchiere di porto in mano.

Sono trent’anni che hai preso in mano questa vita, diciamo trentacinque se consideriamo l’antefatto. Che ne pensi? Come è andata? Ti ho deluso?

Disastri ne ho fatti tanti, non c’è dubbio: se penso a quante persone ho fatto del male in questo tempo mi vengono i sudori freddi, e sicuramente sono ancora di più le persone che ho ferito senza saperlo e che mai saprò. Meno male che, almeno per quanto ne ho notizia, nella maggior parte dei casi sei riuscito a volgere in bene il male, così che alla fine dei conti le persone che ho ferito non sono poi state danneggiate in maniera permanente ed anzi tu hai raddrizzato le conseguenze dei miei sbagli.

Ho voluto essere te, pensa che presunzione! Come un ragazzino che si iscrive alla scuola calcio sognando di essere Totti, e per la verità dopo trent’anni passati non nei grandi stadi famosi, ma in polverosi campetti di periferia ancora mi sogno ogni tanto di piazzare la giocata geniale, il gol che fa la differenza, l’assist che salva il risultato… ma in realtà sono stati trent’anni da mediano, diciamoci la verità, trent’anni passati a suonare il basso in seconda linea, nascosto, mentre altri prendevano gli applausi.

Mi importa? No, francamente no, e me ne accorgo adesso che gli applausi invece da qualche anno arrivano, adesso che sempre più spesso i riflettori si accendono anche su di me. Anzi, guarda un po’, mi ritrovo sempre più spesso a pensare che vorrei tornare a suonare il basso, a essere quello che sostiene il suono della band, quello che tiene insieme gli assoli del chitarrista e i gorgheggi del cantante e che nell’ombra dà ritmo e volume alla musica.

Cosa resta allora di questo tempo vissuto insieme? Tanto amore immagino, così tanto che il più delle volte nemmeno è stato capito. Ho visto preti di ogni tipo: manager, profeti, giornalisti, poeti, intellettuali; uomini “verticali” e pusillanimi, giganti e nani, guitti da avanspettacolo e inossidabili ragionieri, mistici e liturgisti, grandi comunicatori e uomini del fare e presumo di essere stato io stesso incasellato via via in ciascuna di queste categorie, perché, si sa, gli occhi vedono ciò che il cuore comanda ed è assai raro che qualcuno veda qualcosa di diverso dal suo pre-giudizio.

Ma lo sai che non me ne importa proprio niente? Te lo dico davvero, davanti a questo bicchiere e a questo caminetto virtuale. Trent’anni di gavetta almeno hanno sortito questo effetto in me: hanno spento ogni narcisismo, ogni ricerca ideale di me stesso. Che io scompaia, ma la Chiesa viva, che io passi la vita in silenzio e nascosto, ma quelli che mi affidi giungano a te, che resti in eterno sulla soglia, senza mai entrare, se questo significherà tenere la porta aperta a tanti altri. E se l’umiltà che mi chiedi è quella paradossale dell’esibizione esemplare di me e della mia interiorità, che sia. Accetto perfino di non avere una vita privata -tu sai quanto la vorrei-, di essere negli occhi e nel giudizio di tutti, se tu lo permetti.

“Da mihi animas coetera tolle, dammi le anime, prenditi tutto il resto”. Era il motto sacerdotale di don Bosco e tu lo hai reso letteralmente vero nella mia vita: mi hai dato anime, tantissime, e ti sei preso proprio tutto. E alla fine ti sei ripreso anche le anime, che erano peraltro tue fin da principio né del resto ho mai voluto tenere per me, tu lo sai.

Ma non voglio lamentarmi, anzi, perché mi hai dato anche una cosa che non era scritta nel contratto, mi hai fatto felice. Contro ogni aspettativa, contro ogni logica previsione, dopo trent’anni che hanno lasciato cicatrici pesanti sono comunque un uomo felice. Una volta mi hai detto, in una delle nostre chiacchierate: “Non penserai mica che se ti ho chiamato è per fare felice TE?” No, non lo penso, non l’ho mai pensato. Ho imparato a servire e non aspettarmi nulla in cambio e proprio per questo sono tanto più grato, vedendo che, dopo aver fatto di tutto per rendere felici gli altri, avanzi ancora della gioia per me, e quanta!

P.S.

Se qualcuno fosse curioso, in effetti l’anniversario della mia ordinazione è il 16 maggio, ma ci ho messo parecchio a decidermi di condividere questa meditazione.

3 commenti

Archiviato in Spiritualità

3 risposte a “Una lettera d’amore

  1. auguri, e buon cammino abbiamo bisogno di sacerdoti di qualità-

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  2. Leggere mi ha ridato “entusiasmo per Gesù”….spesso si vedono preti distratti, frettolosi quando celebrano, che ti fanno dubitare del loro amore per il Signore, ma non si sa cosa c’è nel loro cuore…
    Leggere questa “lettera d’amore” è stato come scoprirlo. Auguri di un cammino pieno di frutti per il Signore senza che lei se ne accorga.

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