“Diciamo di ‘rispettare’ la religione di questa o di quella persona; tuttavia il modo per rispettarla veramente è considerarla proprio una religione: conoscere i suoi principi e le loro conseguenze. Ma la tolleranza moderna è più indifferente dell’intolleranza. Almeno le vecchie autorità religiose definivano chiaramente un’eresia prima di condannarla e leggevano un libro prima di bruciarlo. Invece noi continuiamo a dire a un mormone o a un mussulmano: ‘Per me non conta la tua religione, fatti abbracciare’. Al che egli ovviamente risponde: ‘Per me invece conta e ti consiglio di fare attenzione’” (GFK, La serietà non è una virtù).
Mi accorgo di una deriva preoccupante nelle mie attitudini sociali: sto diventando molto intollerante con i tolleranti, lo confesso.
Qualche giorno fa ero ad un pranzo di gala, una di quelle occasioni mondane da cui di solito fuggo alla velocità della luce, a cui partecipavo unicamente per simpatia personale verso chi mi aveva invitato. Seduto a fianco a me c’era un docente universitario che si sforzava evidentemente di “fare il simpatico”. Poveretto, quasi mi dispiace per lui… ha cercato per un po’ di intavolare una qualsiasi conversazione parlando di svariati argomenti: dall’Università Cattolica all’enciclica “Laudato sii”, dalla preoccupazione per il terrorismo islamico alla politica italiana… Il fatto è che non eravamo d’accordo proprio su niente!
Nulla di grave per carità, succede spesso e non ci sarebbe niente di male se ci si potesse rispettare, nel senso chestertoniano del termine, cioè appunto nel senso che ciascuno prende sul serio le posizioni dell’altro. Invece lui continuava a parlare di Papa Francesco e della svolta della Chiesa e di quello che (a suo dire) il Vangelo insegna… Poveretto, dicevo, perché non solo non gli ho dato alcuno spago, ma temo di aver sfoderato tutto il mio repertorio peggiore di sarcasmo e malcelato (malissimo celato, anzi del tutto palese) fastidio.
Bene, prendete nota: io non voglio che siate tolleranti con me. Aspiro al martirio io, non ho tempo da perdere con le buone maniere. Trattatemi male vi prego, datemi del bigotto, dell’idiota, del retrogrado… ma non trattatemi come si tratta un bambino deficiente, facendo finta di darmi ragione per farmi fesso e contento. Io sono ciò che sono e non ho la pretesa di piacervi, ma non voglio che vada in circolazione una caricatura di me (o della Chiesa, che è poi la stessa cosa visto che sono un uomo di Chiesa) in cui non solo non mi riconosco, ma che farebbe venire il diabete intellettuale a qualsiasi uomo ragionevole, tanto è insipida e melensa.
E’ arrivato il momento di dirlo chiaro: non voglio essere tollerante io, voglio essere buono.
E ci passa tutta la differenza del mondo, perché un uomo buono è veramente interessato all’altro, all’altro per quello che è, anche con il suo carico di errori se ne ha, e non all’immagine di se stesso, che invece è la sola cosa che interessa al tollerante.
È la solita storia ….meglio dire pane al pane e vino al vino non nascndersi dietro a le parole la verità è verità ed è la verità che ci fa liberi
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Infatti, oggi tollerante vuol dire: non prendere posizione, non avere alcuna linea (a parte il proprio particolare interesse), mescolare bianco e nero, tutto senza coerenza e visione d’insieme (funzionate) della società, come del proprio piccolo mondo.
Su scala globale, oggigiorno, è la norma, infatti, non vi è una visione forte di società, ma una collezione di interessi particolari che si scontrano o si evitano con indifferenza (assenza di idologie?).
L’argomento, e quello che hai espresso, sono cose importanti; danno in un certo modo, spiegazione della società (insieme di individui) liquida e superficiale di oggi.
Invece, penso che nel nostro paese, comunità o in noi stessi, dovremmo pensare come tu dici, essere chiari e coerenti nell’agire come nel ragionare (sì è sì, no è no). L’alternativa, per me, significa essere degli invertebrati.
Grazie del tuo blog e delle tue riflessioni profonde.
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Credo che la tolleranza sia un atteggiamento giusto e doveroso nei confronti dei bambini, dei minorati, degli incapaci. Ma di fronte ad uomo adulto, capace di scegliere, la tolleranza non va bene, ci vuole il rispetto. E se vedo che quest’uomo fa il male, è mio dovere correggerlo, non certamente tollerarlo. Se correggo chi sbaglia mostro non solo rispetto, ma anche cura per chi sbaglia. La tolleranza nei confronti di una persona adulta e capace, invece, mostra solo un profondo disinteresse.
Per essere buoni bisogna imparare a distinguere tra bene e male, prima di tutto. Poi, per quanto possibile, scegliere di fare il bene e rifiutare di fare il male. Infine, quando serve, insegnare a chiunque cosa è bene e cosa è male. Questo significa essere buoni e giustamente intolleranti. Secondo me.
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Essere buoni (interessati) con o senza il principio di non contraddizione in testa e nel cuore?
Stare con Aristotile o con Popper, per star sicuri di stare con Gesù anche dopo aver esercitato la virtù dell’interesse per i casi altrui?
Essere buoni è dire troppo poco, secondo me.
Occorre anche dire che buoni si rimane anche armati non solo di santa pazienza prima e dopo lo sforzo eroico di entrare nelle altrui scarpe.
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Le iniziali dell’autore forse non sono giuste, credo sia GKC.
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