Ieri c’è stato il tradizionale pranzo della befana, una di quelle istituzioni familiari che a diciotto anni vedi come una disgrazia, a cinquanta come l’evento più importante della settimana e – sospetto – a ottanta come una ragione di vita. In tempo di Covid invece è per tutti una rara e preziosa occasione di affetto e di annusarsi tra consanguinei, scoprire che – anche se ci vediamo poco – ci vogliamo tanto bene e abbiamo ben più cose in comune di quante pensiamo.
Dopo il pranzo rituale mi è capitato di riaccompagnare a casa il mio nipote diciottenne, con cui non avevo mai parlato a lungo. Lo stereo della macchina mandava una compilation di Elvis e mio nipote, che è un discreto cantante anche se pratica un genere a me totalmente estraneo come il rap si è molto interessato, ne è nata una lunga conversazione sulla storia del rock.
Mi ha colpito moltissimo misurare nella mia carne il tempo passato, trovarmi nella grande fatica di spiegare perché quella musica che a lui sembrava classica, al pari di Bach e Beethoven, fosse per noi tanto innovativa e trasgressiva. Non è che mancasse di prospettiva storica, anzi, si rendeva perfettamente conto che per noi quelle canzoni significassero qualcosa di totalmente diverso che per lui, solo che non capiva perché.
Così in mezz’ora (il tempo che ci si mette da casa di mia madre a Piramide) mi sono trovato a spiegargli la differenza tra Elton John e David Bowie, l’impatto che hanno avuto i Beatles sul mondo, a dirgli che no, Sinatra cantava circa vent’anni prima e non c’entra nulla con il rock e se non fossimo arrivati avrei continuato a raccontare parlando della psichedelia, del progressive rock, del punk, dell’impegno politico e di come tutto è misteriosamente finito, spazzato via in un attimo e senza una ragione apparente (o forse per un insieme di concause) all’inizio degli anni ’90
Non che non si faccia più buona musica, non sono così giurassico da non riconoscere che ancora oggi ci sono ottimi rockers in circolazione, solo che il rock non è più quello che era: religione, ideologia, stile e ragione di vita tutto mescolato insieme.
Mio nipote Guglielmo ha risvegliato il professore che sonnecchia in me sempre pronto a trasformare qualsiasi cosa in una occasione di lezione, ma lui ascoltava attento e partecipe, era totalmente consenziente al mio piccolo show.
Tornato a casa ho continuato a pensarci e pensavo che mi piacerebbe scrivere una piccola e personalissima storia del rock ad uso di mio nipote, una cosa che non avrò mai il tempo di fare ovviamente, ma pensavo anche che mi piacerebbe farlo innanzitutto per me stesso, per rimettere ordine nel passato, per rispondere davvero a quella domanda che mi ha tanto inquietato: perché questa musica significava così tanto per noi? Quali corde dell’anima andava a pizzicare? Quali segreti processi metteva in moto?
Ho la sensazione che se sapessi rispondere a questa domanda avrei capito molto di più su me stesso. E mi venivano in mente i bei versi della canzone degli Stadio (che facilmente mio nipote non avrà mai sentito neanche nominare, visto che non aveva mai sentito nominare nemmeno i Dire Straits) che dà il titolo a questo articolo:
“Se vuoi toccare sulla fronte il tempo che passa volando
(Dalla/Roversi: “Chiedi chi erano i Beatles”)
In un marzo di polvere di fuoco
E come il nonno di oggi sia stato il ragazzo di ieri
Se vuoi ascoltare non solo per gioco il passo di mille pensieri
Chiedi chi erano i Beatles”
E sento in fondo anche un dovere in questo, il dovere dell’educazione, della trasmissione di una memoria, che non è ideologica, è previa alla distinzione tra bene e male e merita di essere trasmessa non tanto perché è buona, ma perché è nostra.
Spetta a mio nipote l’arduo compito del discernimento, di distinguere tra tutto ciò che gli trasmettiamo il bene dal male, a noi spetta il dovere di raccontare, perché questa narrazione è vita, è tradizione, è identità, è famiglia e se non ce l’hai sei molto più povero.
“Voi che li avete girati nei giradischi e gridati
(Dalla/Roversi: “Chiedi chi erano i Beatles”)
Voi che li avete ascoltati e aspettati, bruciati e poi scordati
Voi dovete insegnarci con tutte le cose non solo a parole
Chi erano mai questi Beatles, ma chi erano mai questi Beatles?”
Chissà che un poco alla volta non la scriva mai questa storia del rock, che inevitabilmente diventerebbe la storia di me-nel-rock, perché non potrei mai dire di Patti Smith, dei Doors, dei Jefferson Airplane o di Bob Marley senza raccontare qualcosa di me.