Chi sono io per giudicare?

dea-giustizia

Giurisprudenza! Mi venisti incontro in un freddo mattino d’Ottobre. Ed io, convinto che la mia vocazione fosse cercare il Vero ed il Giusto ed applicarli con rigore alla vita, poggiai il mio capo sulle tue rassicuranti mammelle…

Ci ho messo circa tre mesi a capire che mi avevi fregato di brutto.

Volevo fare il magistrato io, uno di quelli puri e duri, uno di quelli che danno la caccia ai mafiosi, che non si piegano a compromessi, che sanno analizzare tutto con acribia e scoprire anche le più nascoste contraddizioni per costringere alla giustizia i più renitenti. Che sorpresa quando mi sono accorto che il mio Dio, quel Gesù di cui mi ero innamorato, faceva invece… l’avvocato!

Già, perché questo vuol dire “Paraclito”, il secondo nome dello Spirito Santo: è l’avvocato difensore, quello che nel giudizio ti sta accanto, che ti sostiene, che ti protegge e ti custodisce e all’occorrenza intercede per te. E allora mi sono chiesto “Ma chi sono io per giudicare?” E il terremoto provocato da questa domanda è stato tale che in pochi mesi mi ha portato a comprendere che la mia vocazione era tutt’altra, a scegliere un mestiere (dal Latino “ministerium”, servizio), l’unico, in cui non avrei mai dovuto giudicare nessuno.

Perché questo significa essere prete: non giudicare, mai. E se per dovere di ufficio ci sei proprio costretto (a volte facendo il parroco è inevitabile, e poi naturalmente c’è il sacramento della Confessione, dove devi essere contemporaneamente maestro, medico e giudice) allora devi giudicare come farebbe un avvocato, cioè sempre stando dalla parte del reo. Devi giudicare insomma con un pregiudizio tale da poterlo condannare solo se proprio lui vuole irrefutabilmente e irredimibilmente essere condannato.

Queste non sono solo belle parole, implicano invece uno stile di vita, implicano una conoscenza approfondita e dettagliata della morale e del diritto, usati però non per accusare un sospettato, ma per difendere un imputato, sperando di scovare da qualche parte una piega, un indizio, che ti consentano di assolverlo e non la minuzia necessaria ad inchiodarlo, non cioè come li userebbe un PM, ma come li userebbe un avvocato, appunto.

E’ facile fare esempi concreti: di fronte ad un uomo che ha commesso con certezza un peccato grave il diritto canonico è chiaro e la norma cristallina. Se ci stiamo limitando a fare ipotesi di scuola non ho dubbi e la condanna è ferma e indubitabile, ma di fronte ad un uomo concreto? Di fronte ad uno per cui Cristo ha versato il suo sangue? Di fronte ad uno che certamente non è solo un concentrato di male puro (nessuno lo è), ma nel suo cuore ha mille sfumature e in ogni suo singolo gesto porta mille motivazioni, a volte persino contraddittorie tra loro?

Allora ho il dovere di ricordare tutte le circostanze attenuanti che scienza e coscienza mi offrono. E se non ne trovo nessuna da applicare al caso concreto, di scavare insieme a lui, nella sua coscienza, alla ricerca di un briciolo di verità e giustizia da far germogliare, da far crescere, da ripulire e far brillare e mettere in piena luce. E se proprio non riesco a trovare un motivo per assolverlo allora dovrò mettermi accanto a lui e aiutarlo in un lento e paziente lavoro di recupero, per restituirlo alla Verità e al Bene. E se non riesco a fare nemmeno questo allora dovrò buttarmi al suo posto ai piedi del Giudice, l’unico vero Giudice, ed implorare clemenza.

Questo significa non giudicare. E’ una faticaccia boia, credetemi. Non è semplicemente alzare le spalle e dire “fa’ un po’ quel che ti pare”. E’ tutt’altro, è andare in croce, come Gesù. E’ avere il cuore spaccato ogni volta tra l’amore alla Verità tradita ed offesa e l’amore alla persona concreta che ha tradito. Sarebbe assai più facile giudicare, sarebbe assai più comodo e riposante: “Qui c’è la legge, la vuoi seguire? Bene son contento, te ne vuoi allontanare? E’ un tuo problema…”

Molto facile, molto riposante. Assai poco Cristiano.

Questo mi veniva in mente qualche tempo fa, quando il Santo Padre ha suscitato, involontariamente, un vespaio con una frase simile. Signori, perché tanta meraviglia? E’ il Vicario dell’Avvocato, potrebbe mai mettersi a fare il giudice? Prima di essere il Papa dopotutto è un prete non un professore, è normale che non sappia parlare di peccati in astratto, ma che sempre lo faccia avendo in mente persone concrete! Di quanti giudici invece è piena la Chiesa, ma pochissimi, ne sono certo, che abbiano mai lottato con il diavolo per strappargli un’anima, per evitare che fosse condannata. Quanti il cui dito indice è più lungo del medio!

Non è di una riforma del diritto che abbiamo bisogno, quello va benissimo così come è (nella Chiesa, non nello Stato Italiano, non confondiamo i piani), ma di una riforma dei cuori. Giudici ne basta uno solo. Quello che ci serve sono avvocati, tanti, tutti schierati accanto all’Unico Avvocato.

20 commenti

Archiviato in Attualità, Etica & morale, Vita da prete

20 risposte a “Chi sono io per giudicare?

  1. lucazacchi

    Amen.

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  2. quello che scrivi colpisce il profondo dell ‘anima.

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  3. 61Angeloextralarge

    Grazie. Non so più dire altro.

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  4. patrizia

    Ho da poco incontrato un confessore cui calza a pennello tutto ciò che è nello scritto… Dio vi benedica!

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  5. Mah, un prete che non sappia parlare di “peccati astratti” mi preoccuperebbe gravemente.

    🙂

    Un saluto

    Luigi

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  6. Giancarlo

    Ecco! Qui c’è da precisare. Quello che dice l’articolo è giusto, intendiamoci. Ma è incompleto. Va bene non giudicare il peccatore; sempre, invece, dobbiamo giudicare e condannare senza appello il peccato. Cosa vuol, dire nel concreto? Vuol dire che non debbo tacere, magari per quieto vivere, quando vedo un comportamento sbagliato. Anzi, debbo accusare subito l’errore, soprattutto se ho delle responsabilità educative verso dei piccoli.

    Capita a volte, camminando per strada con i miei figli, di vedere dei travestiti che camminano tranquillamente per strada. Non trascuro mai di indicarli ai miei figli e di riflettere, insieme a loro, sul comportamento assurdo e sbagliato che tengono queste persone. Stessa cosa faccio quando capita di vedere delle prostitute per strada. Ogni occasione è buona, anche un automobilista che passa con il rosso, per sottolineare subito il comportamento sbagliato agli occhi dei miei figli.

    E pace, se qualcuno si offende

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    • Vedi Giancarlo, direi che la differenza tra noi è questa: quando vedi dei transessuali tu vedi “un comportamwnto assurdo e sbagliato”, cioè un peccato. Io invece vedoi delle persone, di solito molto sofferenti (non c’è trans o prostituta che non abbia l’anima a pezzi) e come minimo prego per loo se non posso aiutarle in altro modo.
      Certo, negando il loro peccato non li aiuterei affatto, se non dicessi che il loro comportamento è “assurdo e sbagliato” li confemerei nella loro devianza e verso un figlio da educare mancherei gravemente. Ma mancherei altrettanto gravemente verso mio figlio se non mi sforzassi di insegnargli anche ad amare queste persone, a conoscerle, ad andare al di là del pregiudizio ed ascoltarne le storie prima di giudicarle.
      Mancherei verso mio figlio e perderei ogni possibilità concreta di aiutare i peccatori.
      In pace
      don Fabio

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      • Quoto Don Fabio e spero Giancarlo tu ricordi ai tuoi figli (certamente lo fai) come le prostitute siano spesso, spessissimo (se non quelle forse che non “battono” la strada), vittime e vere e proprie schiave del peccato di uomini (o donne) che in mezzo a quella strada le hanno buttate e le costringono, con le più atroci coercizioni fisiche e morali…

        Sono anche schiave della legge della “domanda e dell’offerta” e di tanti uomini (spesso molto bravini, padri di famiglia integerrimi) che per il loro peccato di lussuria e/o altro mantengono in vita questo orrendo mercato.

        Imparino così i tuoi figli (soprattutto maschi…) che senza l’aiuto della Grazia e senza esercitare il corretto dominio di sé, la castità e la fedeltà, da adulti quel mercato potrebbero a loro volta alimentare (meglio non chiamarsi mai fuori – nessuno escluso ;-)).

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        • Giancarlo

          Bariom, le prostitute, a volte, sono schiave e, in questo caso, non hanno alcuna responsabilità morale naturalmente. Altre volte lo fanno liberamente e pienamente responsabili del loro comportamento.

          Comunque quello che mi interessa di sottolineare, a seguito dell’articolo, è una cosa molto semplice e, spero, condivisa: mai giudicare le persone; sempre giudicare i comportamenti delle persone e, se del caso, condannare gli errori. Tanto più se si hanno responsabilità di educazione.

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          • @Giancarlo, condivido nella sostanza…
            In ultima analisi (scusa se ci ritorno…) anche le prostitute “per scelta”, possono avere una “attenuanate”… magari nessuno ha annunciato loro Gesù Cristo.

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            • Giancarlo

              La verità è che nessuno può sapere se una prostituta è costretta o lo fa per scelta; o, magari, pur facendolo per scelta, può avere delle attenuanti. Quello che è certo è che alcune lo fanno per puro egoismo, per soldi. Perché, caro Bariom, devi sapere che ci sono alcune persone che consapevolmente scelgono di fare il male; non costrette, non pressate dalle necessità, ma semplicemente in odio a Dio.

              Comunque, lo ribadisco, qui siamo fuori tema. Io ho portato l’esempio delle prostitute, ma avrei potuto portare anche l’esempio di mio fratello che, mollato dalla moglie, ha divorziato e si è risposato. Ha sbagliato. Non ho mancato di farlo notare ai miei figli. La condanna, naturalmente, cade sul suo comportamento, non sulla persona di mio fratello. Tuttavia trattasi di condanna senza appello. Passata in giudicato.

              Chiaro?

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            • Chiaro è chiaro… “in odio a Dio” presuppone una chiara conoscenza e consapevolezza di Dio. In sostanza conoscere pienamente la Verità rivelata (non in quanto a conoscenza di precetti di ordine morale), in parole povere avere concretamente incontrato Dio e consapevolmente rifiutarlo, rinnegarlo e deliberatamente agire per contrastare la Sua Opera.

              Sono consapevole esistano tali persone, che sostanzialmente agiscono avendo come “padre” il Diavolo… ritengo, grazie a Dio, siano decisamente un minoranza (non necessariamente esercitano la prostituzione), la maggioranza, vive più o meno consapevolmente, nelle tenebre di questo mondo e di conseguenza agiscono.

              Ti saluto.

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      • Giancarlo

        Carissimo don Fabio,
        cos’è che ti fa pensare che io non insegni ai miei figli ad amare anche il peggiore e più ributtante peccatore? Certo che insegno ai miei figli ad amare anche i transessuali: glielo insegno amandoli io per primo. Non c’è modo migliore, per amare un transessuale, di dirgli la verità: sei figlio di Dio, vali più di un immenso tesoro, non lasciarti andare alle tue vergognose voglie, rispetta te stesso, il tuo corpo, la tua natura.

        Cosa ti fa credere che non veda un povero Cristo in croce quando guardo un transessuale? Certo che vedo Cristo quando guardo vladimir luxuria. Proprio per questo faccio di tutto per correggerlo.

        Si può e si deve aprire le porte della chiesa a tutti i peccatori, compresi i transessuali, ad una condizione: che accettino di entrare in chiesa lasciando fuori i loro peccati.

        Nessuno vuole giudicare il peccatore e bene ha detto il papa quando si è chiesto “chi sono io per giudicare?”. E’ sempre sbagliato giudicare le persone. Ma è giusto, anzi doveroso, giudicare e, se del caso, condannare i comportamenti delle persone.

        Pace a te, carissimo.

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  7. Carlo 72

    Se ad un barbone gli chiedessi di darmi il suo cappotto, questi non me lo darebbe mai. Se insistessi a chiederlo otterrei sempre la stessa risposta.
    Ma se io riuscissi a far “uscire il sole” il cappotto me lo darebbe di sua spontanea volontà.
    Ama l’uomo, fagli sentire l’ Amore di Dio per lui anche attraverso di te e l’ uomo lascerà spontaneamente il peccato e seguirà l’ Amato.

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    • Giancarlo

      Mi spiace Carlo, ma credo che l’uomo non sia affatto “spontaneamente” buono.

      Lasciare il cappotto sotto il sole cocente non è bontà. D’altronde, tenersi il cappotto per ripararsi dal freddo non è egoismo.

      A dire le verità, non è che abbia capito tanto bene quello che vuoi dire.

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  8. Intanto osservo che sono piuttosto divertito da alcune reazioni a questo articolo, non avrei mai voluto innescare un dibattito filosofico sul giudizio e neppure per la verità sulla sottile distinzione tra peccato e peccatore… beati voi che avete rasoi così affilati da saper fare queste distinzioni nella vita di ogni giorno, assodato che non capita tutti i giorni di incontrare Hannibal.
    La cosa curiosa è che per me la frase centrale dell’articolo, quella che mi ha spinto a scriverlo, è “questo significa non giudicare”. Cioè, dato per scontato che il Cristiano, e men che meno il prete, non deve condannare nessuno, quello che mi interessava era osservare come il non-giudizio non è una passività, nè un’indifferenza, ma comporta invece un lavoro pazzesco e certamente implica avere una comprensione chiara e lucida del peccato e della sua gravità, nonché del male commesso. Altrimenti di che dovrei intercedere?
    Ho rubato un verso a De Andrè, quello sul dito indice più lungo del medio, per definire tutti quelli che nella frenesia del giudizio dimenticano i passaggi necessari, finendo così per passare dal ruolo di giudice al ruolo più eccitante della legge (sempre per dirla con De Andrè), quello del boia.

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